LE NOSTRE RECENSIONI


Incontro con l'autore: Salman Rushdie



Avere la possibilità di incontrare un grande scrittore come Salman Rushdie è già un privilegio ma farlo nella splendida cornice dell’Hotel Principe di Savoia di Milano è qualcosa di grandioso. Ci è stata concessa più di un’ora per intervistare lo scrittore insieme ad altri blogger e il tempo è letteralmente volato dato che, a differenza di altri, Rushdie ha il dono non solo della sintesi ma soprattutto della simpatia, con la quale ha allietato l’intero incontro rendendo impossibile non incalzarlo continuamente di domande sul suo nuovo romanzo, La caduta dei Golden, la storia di una grande tragedia familiare.

A farla da padrone è sicuramente il suo cambio stilistico: Rushdie ci ha abituato ad un atteggiamento “favolistico” negli altri suoi romanzi ma in questo ha deciso di cambiare rotta. Cambiare stile e scrivere della contemporaneità comporta in primo luogo raccontare la verità e a questo discorso si allaccia per parlare delle fake news, purtroppo oggigiorno così numerose:

“Le fake news sono un problema che coinvolge la società e che sta diventando sempre più pericoloso, spesso mi domando se devo inventare storie non vere per parlare della verità…è questo uno dei tanti ruoli che deve assumere lo scrittore?”

E sicuramente questa contemporaneità porta con sé il bisogno di esplorare nuovi aspetti della nostra realtà, due dei quali lui ha rappresentato nei due figli nella storia che sono molto diversi tra loro: un autistico e un transgender.

Si è dichiarato molto curioso e stimolato dall’imparare su questi argomenti, correlati entrambi con la ricerca dell’identità che nel libro viene espressa con il Museo dell’Identità, da Rushdie inventato di sana pianta, che è servito allo scopo per rompere quel velo che si trova tra la realtà e la finzione:

“Alcuni giornalisti mi hanno detto di aver googlato il Museo dell’Identità e, non trovandolo, mi hanno chiesto se fosse reale perché nel libro non si capiva. Ecco un bell’esempio del velo tra realtà e finzione che viene lacerato…alcune cose ti chiedi se esistano davvero o magari hanno iniziato ad esistere cinque minuti dopo…”

Ed è proprio la sua invenzione di questo Museo a portare alla luce le varie sfaccettature dell’identità che nei paesi a lui cari assume molte forme:

“In India se parli di identità fai subito riferimento all’identità religiosa, all’importanza di essere indù o musulmani ed è una distinzione importante e profondamente radicata; in Inghilterra invece pensi subito all’identità nazionale e non può non venire in mente la Brexit che ancora adesso non si capisce bene cosa sia né cosa diventerà; in America invece l’identità tocca molti punti, i due principali sono sicuramente l’identità razziale e quella storica”.

Una domanda che ha interessato molto Rushdie è stata relativa alla differenza di percezione dell’età culturale e storica in India e in America:

“In India se chiedi a qualcuno quanto è antico un edificio ti risponderà sempre dicendo che ha moltissimi anni ma non ti dirà mai il numero esatto, per loro tutto è sempre eterno e lì da secoli mentre in America qualcosa che ha solo 200 anni è già preistorico; le culture antiche come quelle indiane sono quasi disinteressate al tempo mentre le culture giovani come quella americana sono portate ad accorciarlo. In America non c’è memoria, tutti dimenticano subito tutto ed è per questo che alcune persone senza scrupoli riescono a prendere il potere: quando il popolo dimentica è vulnerabile”

E in quell’istante ho annuito vigorosamente e avrei voluto dirgli “Quant’è vero! In Italia dimenticare sembra essere il passatempo preferito!”

Nonostante questo dimenticare Rushdie si dice molto ottimista sulle nuove generazioni che vede molto curiose e con saldi principi e, riferendosi a Trump nello specifico, dice che certamente lui non è la nuova normalità né sarà mai il futuro, c’è bisogno di un profondo cambio generazionale in America (applausi a go go e questione validissima anche per l’Italia):

“Bisogna cambiare, io per primo ormai ho 70 anni e quindi anche basta, è giusto così, bisogna ringiovanire la scena!”

Le ultime battute sono per le donne, in questo romanzo quasi del tutto assenti rispetto ai suoi precedenti ma che muovono i fili anche se in disparte e al rapporto col cinema, del quale è grande estimatore e dell’alone di mistero che permea il suo romanzo, quasi fossimo in un film.

In merito a questo Rushdie ammette che non è semplice scrivere di “mistero”, soprattutto non è facile decidere quando e quanto bisogna svelare, lo ha aiutato molto esser stato lo sceneggiatore de “I figli della mezzanotte”, il suo romanzo divenuto film e si è dichiarato molto ammirato da coloro che riescono a fare film perché per lui non è stato affatto facile:

“Ti ritrovi con gente che si alza in piedi e ti dice che è disposta a finanziarti domani, che ti promette mari e monti e poi non se ne fa nulla e ti accorgi che sono tutte stronzate quindi ammiro molto chi riesce davvero a realizzare dei film, trovare finanziamenti e gente che ci crede davvero non è facile. Che sia Gremlins 14esimo oppure Justice League 33esimo non importa, è comunque ammirevole chi riesce a portarli sullo schermo perché io per primo so quanto sia difficile!”

Sarebbe stupendo avere a disposizione almeno un’altra ora ma il tempo è giunto al termine e dopo essersi prestato di buon grado a sorridere nelle varie foto ci saluta con calore ringraziandoci di essere venuti a intervistarlo.






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