RECENSIONE: GIALLO NARCISO DI DONATA MARIA BIASE
Prezzo: 17,00 € | Ebook: 9,99 € |
Data di pubblicazione: 11 febbraio 2021
Lorella De Santis, ingegnere di successo, per
una serie di circostanze fortuite trasferisce la sua prestigiosa attività a
Bellalba, un paesino a due ore di distanza dalla città, dove acquista e
ristruttura una villetta sul mare che presto diventa il suo rifugio. Dopo la
fine della storia con Valerio, che l’ha lasciata devastata e sfiduciata, non
dorme più di tre ore per notte, pensieri le riempiono la mente e il suo pessimo
stato d’animo le rende pesante le lunghe ore di lavoro. Ma una mattina, mentre
si sta recando al lavoro in treno perché l’auto è in riparazione, incrocia una
giovane donna molto bella, che scende di corsa e perde il suo diario. Lorella
lo raccoglie e nonostante qualche reticenza dettata dal rispetto verso qualcosa
di così personale e intimo, ne inizia la lettura, scoprendo così un mondo di
amore e sofferenza per un uomo raccontato alla madre morta, che la scuote e la
spinge ad affrontare, attraverso le parole di Elisa nelle quali ripercorre
anche la sua storia, tutti i suoi fantasmi.
Inizia così un percorso di salvezza e guarigione, dove anche chi salva deve essere salvato.
Recensire questo romanzo mi mette in grande
difficoltà.
Esso alterna la storia narrata da Lorella e
brani del diario di Elisa, distinti tra loro anche graficamente.
L’espediente narrativo è di per sé efficace e
interessante, ma è stato mal sviluppato, lo stile è ridondante e artificioso e
il linguaggio è inutilmente ricercato, con un esagerato utilizzo di parole
troppo pensate, studiate ed espressioni desuete che lo rendono poco fluido,
innaturale, forzato: sembra quasi il tema di uno studente che si sforza nel
trovare termini poco utilizzati per impressionare l’insegnante. Sicuramente
dettagliato e rigoroso nelle descrizioni e nella grammatica, ma freddo,
asettico, poco emozionale. L’autrice sarà anche abituata al rigore che le serve
per scrivere documenti di lavoro, ma purtroppo lo stesso stile non si adatta
alla stesura di un romanzo, che così non ha cuore, non ha anima. I dialoghi
sono improbabili (chi parlerebbe così?!).
È difficile anche identificarsi con le
protagoniste, irritanti, seccanti, fastidiosamente ingenue e puerili (“Fumo
raramente, a volte solo per darmi un tono”: a 60 anni?! Incommentabile). Possibile
che siano ancora così ingenue nonostante i 60 anni dell’una e i 40 dell’altra?
Lorella è inoltre un po’ troppo
autocelebrativa: si descrive bella, perfezionista, intelligente, capace,
irresistibile, affascinante, corteggiata (“assillanti corteggiamenti”, “gli
uomini attratti da me non mancano”), brava nel suo lavoro, … è difficile che una
persona reale e “normale” pensi questo di sé senza paura di sembrare
egocentrica e antipatica. E come se non bastasse, sale pure in cattedra per
giudicare le parole e le azioni di Elisa, senza nemmeno conoscerla se non attraverso
le parole del diario che legge, senza averne diritto, invadendo la sua intimità:
Elisa si rivolge alla madre morta, raccontandole cosa le accade, e Lorella
legge e poi analizza dal suo punto di vista, tramite la sua esperienza e la sua
personalità. Patetico.
Elisa dal canto suo è egoista, superficiale,
infantile. Se poi è tanto dolce, amorevole, perfetta come Lorella la descrive
(sempre deducendolo dalla lettura abusiva)… Perché è sola e senza nemmeno un
amico? In uno dei brani del diario, questa solitudine è giustificata con una motivazione
improbabile e inconsistente.
I due uomini saranno anche narcisisti, ma Lorella
ed Elisa sono ossessive! Il loro atteggiamento è opprimente anche per il
lettore.
Lorella si identifica con Elisa, o meglio,
tende a trovare punti in comune tra le due vite e le due relazioni, fino a
sovrapporle, tanto che anche i nomi dei due uomini sono molto simili.
Anche il diario è scritto con un linguaggio
improbabile (chi si esprimerebbe così?), artificioso e poco spontaneo, e denota
una personalità estremamente ingenua nonostante l’età, anche se Lorella lo nota
e ne è consapevole. Il fatto che Elisa nel diario si rivolga alla madre,
raccontandole informazioni che dovrebbe senz’altro sapere, a beneficio del
lettore, con espressioni tipo: “Come sai…” contribuiscono, poi, ad appesantire
la narrazione, così come i dettagli inutili e superflui e l’uso del passato
remoto, sicuramente corretto dal punto di vista grammaticale ma pesante.
Tuttavia, Lorella tesse le lodi delle doti da
scrittrice di Elisa, e nel farlo, rende l’autrice complice dello stesso
atteggiamento autoreferenziale.
Irritante anche l’utilizzo di espressioni come
“dolore lancinante”, “delusione d’amore”, “dramma”, “devastante”, “esagerato”
per indicare la fine della sua relazione, tanto che divide la vita in “prima” e
“dopo” Valerio: è un’esperienza che tutti vivono prima o poi! Inoltre, la
storia con Valerio è durata soltanto tre anni, in età matura, non ci sono di
mezzo figli, divorzio, o altre situazioni che possono davvero rovinare una
vita, e il modo in cui ne parla mi sembra esagerato. Lungi da me giudicare i
sentimenti altrui, ma ancora una volta mi sembra oltremodo artificioso.
Infarcito di fastidiosi luoghi comuni: “La
natura dell’uomo è palesemente egocentrica”, gli uomini sono tutti brutti e
cattivi e noi donne tutte poverine, maltrattate.
A tratti è addirittura delirante, per esempio
quando immagina il dialogo che avrà con Elisa, convinta che vorrà ascoltarla,
che si fiderà di lei, una perfetta sconosciuta, e promette di rimanerle
accanto, senza mettersi minimamente in dubbio. Tira anche in ballo fili
spirituali, mette in mezzo le anime delle mamme morte per giustificare il loro
incontro.
L’autrice si lancia in un’analisi psicologica
della personalità narcisistica, ma è difficile comprendere se ciò che scrive
sia solo frutto di esperienza o se lo abbia studiato. Si è documentata? Lo ha
letto su qualche rivista (scientifica)? La leggenda di Narciso e della ninfa
Eco che dà origine al narcisismo edulcora un po’ la sostanza.
L’analisi della personalità narcisistica è basata
solo sull’esperienza personale, e sulla documentazione, NON su criteri
scientifici e professionali: in definitiva quindi si tratta semplicemente di
un’analisi dei fatti da parte di chi non è del mestiere, fatta col piglio di
chi si atteggia per sembrarlo e invece è solo una donna ferita. Il romanzo alla
fine si riduce a questo: una storia banale come pretesto per parlare delle
personalità narcisiste che tanto hanno ferito la protagonista. Esistono forse
analogie con la storia dell’autrice?
In alcuni punti è anche superficiale, mancando
l’approfondimento o la precisione di alcuni passaggi buttati lì senza
attenzione.
Dipendenza e sudditanza affettive, fragilità
emotiva, necessità di accontentarsi sono altri degli aspetti che emergono da
questa lettura, con un maldestro tentativo di indagarne le cause.
Lentissimo, anche noioso in alcuni punti, è un
romance prevedibile, mediocre e banale.
Tuttavia, il finale inaspettato risolleva un
po’ le sorti di un libro mal riuscito e vale lo sforzo di arrivare fin lì: non
posso anticiparvi nulla per evitare spiacevoli spoiler, ma posso dire che gli
dà la scossa necessaria che gli serviva, per evitare di cestinarlo del tutto.
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