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Recensione: I fiori che calpesti di Eva Milani

 


I FIORI CHE CALPESTI



                                                                   di Eva Milani



Prezzo: €  16,90| Ebook: € 4,99 |
Pagine: 523| Genere: Dance Romance MM|
Editore: Hope|  Data di pubblicazione: 11 luglio

Trama

Seoul, 2008.
Park Dae-jung ha tutto, tranne ciò che più desidera: una vita dedicata alla danza. È il sogno proibito della sua adolescenza, che insegue con la determinazione e l’ambizione di chi è convinto che nessun obiettivo sia davvero irraggiungibile. Kim Cheol-moo non ha nulla da perdere se non le proprie ombre, nelle quali si rifugia quando il mondo si fa ostile. Non ha mai visto nessuno danzare. Quando accade, qualcosa di innato e sconosciuto si risveglia dentro di lui e gli regala uno scopo. In una Seoul in lotta tra tradizione e cambiamento, i loro mondi sono lontani, le loro vite destinate a non sfiorarsi, se non per una manciata di mesi, in cui condividono una palestra abbandonata e una guerra silenziosa, fatta di sfida e attrazione, che li spinge l’uno contro l’altro ma anche l’uno verso l’altro, fin sull’orlo di un legame impossibile.


IL MIO PENSIERO SUL LIBRO


“I fiori che calpesti” è un romanzo intenso e stratificato, che racconta la storia di due giovani uomini, Park Dae-jung e Kim Cheol-moo, uniti e divisi dal filo sottile della danza, del desiderio e dell’identità. La danza è qui il vero linguaggio con cui i personaggi si parlano, si feriscono e si cercano. È un gesto fisico che diventa espressione dell’anima, un atto che unisce due ragazzi profondamente diversi e che, al tempo stesso, li costringe a fare i conti con ciò che sono.

Il libro si presenta come un lungo viaggio emotivo, suddiviso in due parti: l’incontro fortuito dei protagonisti durante la giovinezza e il loro ritrovarsi dieci anni dopo, come adulti segnati dalle scelte (o dalla mancanza di esse).

Nella prima parte conosciamo Park Dae-jung, all’apparenza composto e strutturato, proveniente da una famiglia che lo vede come una persona destinata a rientrare negli obiettivi sociali; e Kim Cheol-moo, più giovane, enigmatico, fragile ma con una forza interiore quasi selvaggia. Si incontrano in una palestra improvvisata, in un palazzo fatiscente: quella sala diventa così un non-luogo, sospeso tra degrado e libertà, in cui si sviluppa un rapporto ambiguo fatto di sguardi, imitazione, distanza e attrazione.

La loro fisicità, opposta e complementare (mentre il corpo di Park Dae-jung è stato forgiato da anni di duro insegnamento, quello di Kim Cheol-moo è un giunco che si muove libero), diventa il simbolo di due visioni contrastanti della danza: rigore contro spontaneità, aspettativa contro istinto. Eppure è proprio attraverso il movimento non strutturato che Kim Cheol-moo entra nella vita, e nella testa, di Park Dae-jung. Lo imita, lo osserva, lo sfida. E Park Dae-jung si lascia lentamente attraversare da questa presenza scomoda ma vitale.

A fare da contrappunto emergono due figure femminili: Ye-Rin, amica d’infanzia di Park Dae-jung, e Madame, enigmatico personaggio che fungerà da ponte tra passato e presente, orchestrando — non sempre consapevolmente — il destino dei protagonisti.

La seconda parte del romanzo si apre con il loro reincontro, dieci anni dopo, ormai adulti e cambiati. Dieci anni di silenzi forzati, di lontananza, in cui le loro vite sono andate avanti in maniera inattesa. Si percepisce come non sia sempre il destino a decidere per noi, ma spesso l’inerzia, la paura di scegliere. Cosa è rimasto dei due ragazzi che ballavano assieme? Sarà la danza a (ri)unire due pianeti che, dopo essersi sfiorati, non sono più nella stessa orbita?

La scrittura è densa, come un passo caricato di troppo significato, ma che ben riflette il mondo interiore dei protagonisti. Termini tecnici della danza e onorifici/soprannomi coreani possono rendere la lettura un po’ difficoltosa, ma il glossario finale è un prezioso strumento che permette di orientarsi meglio nel contesto culturale e linguistico. La narrazione procede per accenni, rivelazioni improvvise, lettere mai spedite, punti di vista che si alternano. Alla fine, il non detto che sembrava rimanere sospeso si rivela un grand jeté dall’atterraggio perfetto.


Barbara








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