Recensione: Il santuario della montagna silenziosa di Nanami Kamon
Trama
Il santuario della montagna silenziosa di Nanami Kamon è un'occasione mancata nel panorama horror giapponese.
Amando profondamente la cultura asiatica – e in particolare quella giapponese – mi avvicino sempre con grande entusiasmo a opere che promettono di fondere folklore, spiritualità e suspense. È stato quindi con curiosità e aspettative piuttosto alte che ho iniziato la lettura de Il santuario della montagna silenziosa di Nanami Kamon, romanzo che si presenta come un horror intriso di suggestioni tradizionali nipponiche. Purtroppo, al termine della lettura, non posso che esprimere una certa delusione.
Una trama dal grande potenziale... inespresso.
La sinossi sembrava promettere un’esperienza inquietante: una scrittrice con poteri sensitivi si trova coinvolta in un’indagine su strani avvenimenti accaduti a un gruppo di amici dopo la visita a un luogo misterioso e potenzialmente infestato – una vecchia segheria immersa nella natura giapponese. Tuttavia, questo spunto iniziale, che sulla carta avrebbe potuto dar vita a una narrazione ricca di tensione e atmosfera, si sgonfia quasi subito.
La protagonista, Minami, è una scrittrice di romanzi horror in pieno blocco creativo, dotata di una vaga sensibilità paranormale. È lei a raccogliere e riportare le testimonianze degli amici coinvolti negli eventi misteriosi, ma lo fa in modo distaccato, quasi documentaristico. I fatti vengono semplicemente riferiti, senza che ci siano descrizioni vivide o coinvolgenti, e soprattutto senza che Minami stessa sia mai realmente parte attiva degli eventi, se non in rarissime occasioni.
Un horror senza orrore.
Il problema principale di questo romanzo risiede proprio nella mancanza di tensione narrativa. In un’opera horror ci si aspetta di provare inquietudine, angoscia, quella sensazione di pericolo imminente che tiene incollati alla pagina. Qui, invece, tutto resta in superficie. Gli eventi sono riportati come se fossero dei resoconti, privi di pathos o di empatia emotiva. Le scene che avrebbero potuto risultare disturbanti o suggestive sono raccontate “per sentito dire”, senza un reale coinvolgimento del lettore.
Non si prova mai vera paura, non ci sono momenti di suspense costruiti ad arte, e persino i passaggi più misteriosi o paranormali risultano deboli, quasi sbiaditi, come se l’autrice avesse paura di spingersi oltre o di osare.
Una scrittura piatta e poco evocativa
A livello stilistico, Il santuario della montagna silenziosa pecca di una narrazione eccessivamente descrittiva ma non visiva: tutto viene spiegato, nulla viene mostrato. Le ambientazioni, che avrebbero potuto rappresentare un punto di forza – soprattutto in un contesto culturale così suggestivo come quello giapponese – restano vaghe, sfocate, mai veramente vissute. Anche i personaggi secondari appaiono poco approfonditi, strumenti funzionali alla trama ma privi di spessore psicologico.
Il ritmo narrativo è piatto, con pochissimi picchi emotivi. Persino il finale, che avrebbe potuto riscattare in parte la lettura, si rivela affrettato, confuso e poco incisivo. Rimane una sensazione di incompiutezza, come se la storia fosse rimasta sospesa, non per scelta narrativa, ma per mancanza di sviluppo.
Conclusioni: un’idea interessante, ma mal eseguita
Il santuario della montagna silenziosa è un romanzo che, pur partendo da premesse affascinanti, non riesce a mantenere le promesse. L’ambientazione giapponese e l’elemento soprannaturale sono sfruttati in modo superficiale, e la scrittura – priva di atmosfera e di tensione – non riesce mai a coinvolgere davvero. Per chi, come me, cerca nella narrativa horror un’immersione sensoriale e psicologica, questo libro rischia di risultare una lettura fiacca e dimenticabile.
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