Recensione: One room Angel di Harada
Trama
La trama ruota attorno a Koki, un uomo sulla trentina che vive una vita spenta e senza scopi. Lavora in un combini, è solo, disilluso e sembra essersi rassegnato all’idea che nulla possa più cambiare. Tutto prende una piega surreale quando, dopo essere stato accoltellato in strada, torna a casa e trova nella sua stanza… un angelo. Letteralmente. Un giovane misterioso, con le ali spezzate e nessun ricordo di sé.
Inizia così una convivenza silenziosa e stranamente naturale tra due esseri alla deriva. L’angelo, pur privo di memoria, si rivela uno specchio perfetto per Koki: la sua presenza lo destabilizza ma, al tempo stesso, inizia lentamente a risvegliare in lui emozioni e ricordi dimenticati. I due personaggi si avvicinano in modo quasi impercettibile, in un processo di guarigione reciproca fatto di piccoli gesti, silenzi e verità non dette.
Uno degli aspetti più riusciti del manga è la capacità di trattare temi come la solitudine, la depressione, la perdita e la ricerca di senso, senza mai risultare pesante o forzato. La narrazione è pacata, e ogni situazione è costruita per lasciare spazio alle emozioni più autentiche. Non c’è bisogno di grandi colpi di scena: basta uno sguardo, una frase lasciata in sospeso, per comunicare tutto.
Lo stile grafico è essenziale ma molto espressivo. Il design dei personaggi è sobrio ma funzionale alla storia: Koki appare spento, consumato dalla routine, mentre l’angelo brilla per contrasto, pur nella sua fragilità.
Pur rientrando nel genere Boys’ Love, One Room Angel si distacca dai cliché tipici. La relazione tra i protagonisti non è basata sull’attrazione fisica, ma su un legame emotivo profondo, costruito con attenzione e rispetto. È un amore che nasce dalla vulnerabilità condivisa.
One Room Angel è, in fondo, una storia di redenzione. Un messaggio silenzioso ma potente: anche quando tutto sembra perduto, anche quando il dolore sembra aver preso il sopravvento, può esistere uno spiraglio di luce.
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