Recensione: La voce rubata: Aprile - ottobre 1989 di Gian Luca Oliveri
Trama
Il cuore pulsante della storia è Edoardo, diciottenne fragile e tormentato, che cerca di scoprire sé stesso e la propria sessualità in un contesto familiare doloroso: un padre violento e alcolizzato, l’assenza di una madre, un vuoto che sembra inghiottirlo. Edoardo è un personaggio complesso, costruito con grande attenzione psicologica. L’autore non lo idealizza mai: lo mostra con tutte le sue debolezze, i suoi errori, i tentativi maldestri di fuggire dalla realtà, perfino attraverso la droga. È proprio questa imperfezione a renderlo così autentico.
Accanto a lui troviamo Gabriele, ragazzo italo-coreano, dj ma con la passione della danza. Anche lui è in cerca di un posto nel mondo e nel loro incontro nasce un’attrazione intensa e viscerale. Il rapporto tra Edoardo e Gabriele è magnetico ma tossico, fatto di desiderio e autodistruzione, di intimità e conflitto. Oliveri li tratteggia con profondità, mostrando come due anime ferite possano riconoscersi, ma anche farsi del male a vicenda.
Un grande merito del romanzo è la presenza di personaggi secondari che non fanno solo da sfondo, ma contribuiscono a dare spessore alla vicenda. Alcuni rappresentano figure di sostegno, altre diventano specchi o contrasti rispetto ai protagonisti. Sono presenze che ampliano la visione del lettore, offrendo diverse prospettive sul contesto sociale e personale in cui Edoardo e Gabriele si muovono.
Oliveri sceglie una scrittura intensa e diretta, ma allo stesso tempo lirica. Non indulge mai in descrizioni ridondanti: ogni parola è calibrata per restituire emozioni crude e autentiche. Colpisce soprattutto la capacità di alternare momenti narrativi veloci, quasi febbrili, a passaggi più introspettivi e riflessivi, in cui il lettore respira insieme ai protagonisti. È uno stile che cattura e non lascia scampo: si viene trascinati dentro la spirale di Edoardo e Gabriele senza possibilità di restare indifferenti.
La voce rubata non è solo una storia d’amore e dipendenza, ma anche un romanzo di formazione che affronta temi universali: il bisogno di identità, la difficoltà di crescere in una famiglia spezzata, la ricerca disperata di un posto nel mondo, il rapporto tra amore e autodistruzione. L’ambientazione tardo-anni Ottanta è più di un semplice sfondo: restituisce un clima culturale e sociale che amplifica il senso di smarrimento e ribellione dei protagonisti.
Il romanzo si avvia verso un finale struggente, capace di lasciare il lettore senza fiato. A Milano, i due ragazzi si trovano sempre più risucchiati in una spirale autodistruttiva, fatta di eccessi e dipendenze. È un percorso che li logora e li consuma, fino a condurli a un punto di rottura inevitabile.
La conclusione è durissima, ma anche carica di significato: un atto estremo che non nasce dall’odio, bensì dall’amore. È un gesto che, pur nel dolore più lacerante, diventa un tentativo di liberazione, un invito alla rinascita e alla possibilità di ricominciare. Oliveri riesce a raccontare questo epilogo con delicatezza e potenza insieme: non cede mai al sensazionalismo, ma lascia che siano le emozioni a parlare. È un finale che ferisce, ma che rimane inciso nell’anima del lettore, trasformando la sofferenza in una sorta di speranza.
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