Incontro con l'autore... Jay Kristoff
Milano, Hotel Nyx
28 Settembre
Ha uno sguardo intenso, occhi scuri e capelli corvini. Chi ha già avuto la fortuna di recuperare le prime copie
della trilogia di Nevernight - edite in Italia da Oscar Mondadori Vault - avrà probabilmente una sensazione
di déjà-vu con questa descrizione, ma per stavolta non si tratta della protagonista Mia Corvere, esile e
ossuta giovanissima assassina.
I nostri occhi – nonchè i nostri smartphone - sono puntati sull’imponente Jay Kristoff, creatore del
pittoresco mondo di Godsgrave e “perfido” papà dei protagonisti delle cronache di Nevernight.
Dopo giorni di intensi scambi di comunicazioni e idee tra blogger e youtuber da tutta Italia, eccoci
finalmente radunati in un’accogliente sala dell’Hotel Nyx di Milano. Sappiamo di poter contare su un elenco
di domande accuratamente riordinate, ma ciononostante l’emozione è palpabile. Qualche esitazione,
qualche increspatura nella voce. Qualcuno (..la sottoscritta) la notte prima ha persino sognato che proprio
al suo turno si trovava ad armeggiare con un dispositivo di registrazione poco collaborativo.
Il gigante australiano @misterkristoff è in effetti uno degli scrittori più seguiti del momento, e in futuro
potrebbe esserlo ancora di più: sul suo profilo instagram è stata pubblicata qualche giorno fa la notizia che
Akiva Goldsman, famoso produttore USA, ha firmato un primo accordo per una serializzazione TV di Aurora
Rising, il best-seller young adult scritto da Jay con Amie Kaufman.
Ma tornando al nostro Nevernight, ecco un riepilogo di quanto emerso da questa intervista, che speriamo
potrà soddisfare almeno in parte la vostra curiosità se avete letto il libro, o, in caso contrario, stuzzicare il
vostro interesse per questo fantasy dark in cui, paradossalmente, le tenebre giungono solo ogni due anni e
mezzo.
Tutto è iniziato con il personaggio di Mia; una vigilia di capodanno, assistendo ad una discussione tra due
sue amiche riguardo ad un termine colorito in inglese, Jay ebbe l’ispirazione per scrivere una scena - ora
collocata nel primo volume. Non gli era chiaro ancora chi fosse Mia, ma voleva scrivere di lei, e conoscerla
meglio strada facendo. Inoltre, da appassionato della storia romana, ed in particolare della Dinastia Giulia,
decise di sviluppare le vicende del libro intorno ad una riflessione su cosa sarebbe accaduto al generale
Giulio Cesare, ribellatosi contro il Senato, se la sua ribellione fosse invece fallita.
Nevernight inizia però di fatto con uno spoiler sulla morte di Mia, e quando gliene chiediamo il motivo, Jay
esordisce con uno scherzoso “perchè sono cattivo”, ma poi spiega che il suo intento era di creare una figura
leggendaria, che avendo vissuto nella violenza, faccia presagire una fine violenta. La storia doveva creare
aspettative nel lettore, in modo da intimorirlo ed al contempo incuriosirlo, e renderlo consapevole del fatto
che nella storia nessuno, nemmeno i personaggi principali, sono al sicuro, e chiunque può morire.
Una volta finito di scrivere, ci confessa, ha provato un gran senso di tristezza, ed è stata una cosa
inaspettata, in quanto pur essendo la sua terza trilogia non si è mai sentito così triste nel lasciarla. Era
sicuramente eccitato all’idea di iniziare qualcosa di nuovo con il prossimo lavoro (Empire of the Vampire, di
cui parleremo più avanti), ma dicendo addio a quest’opera ha fatto altrettanto con una parte di sè. L’ultimo
capitolo della trilogia è stato molto difficile da scrivere. Si ritiene molto soddifatto dei libri, ed anche del
finale, che per lui è un po’ insolito. Non si aspettava sarebbe stato un così grande successo, negli Usa e
Regno Unito non c’è stato un grande lancio, poi dopo tre anni Nevernight ha riscosso un successo
esponenziale, grazie al passaparola in tutto il mondo. Il successo di questa serie è dovuto a tutti coloro che
ne hanno parlato, sia sui social media che alla vecchia maniera, consigliandolo agli amici.
E a proposito della fine, Jay ci rivela che all’inizio non sapeva come si sarebbe conclusa la trilogia. Ci sono
scrittori che pianificano la trama fin da subito, mentre altri, come lui, si lasciano trascinare mentre scrivono,
come quando sei in macchina e vedi la città in lontananza, ma non sai come arrivarci. Non sapeva come
sarebbe morta Mia, preferiva lasciarsi sorprendere dai personaggi, ed è stato molto entusiasmante scrivere
così, aveva scritto ben tre finali diversi, tra cui ha poi scelto quello meno dark.
La parte più difficile da scrivere sono state le scene di sesso, Jay ci confessa che prima di mandare a
pubblicare i suoi libri li fa leggere in anteprima a 5 persone, tra cui sua moglie. Ed era effettivamente strano
far vedere queste cose a persone vicine a lui, sentirne il giudizio.
Il tema della lotta tra Luce e Oscurità viene trattato in modo inconsueto in Nevernight: l’idea di Jay era di
sovvertire il topos letterario, tipico del fantasy. Ha deciso di dare a Mia i poteri dell’oscurità, ponendo però
dei limiti, per cui non possono funzionare in ogni condizione. A suo parere un personaggio troppo forte, che
sembra un dio, è pericoloso. Tipicamente, la luce è vista come giusto, corretto, ma in ogni sistema in cui c’è
un unico potere si crea tirannia, non c’è equilibrio. La vita non è o bianca o nera, ma una serie di sfumature
di grigio.
Sempre sul rapporto luce/oscurità, si prosegue con una riflessione su come le ombre vengano associate alla
paura: MisterKristoff ricorda che in una parte del libro si dice che non esistono ombre senza la luce: più
intensa è la luce, più scura sarà l’ombra. Vediamo spesso la paura come un’emozione negativa, che ci
impedisce di fare le cose che vorremo fare, ma di fatto ogni sentimento negativo, come la rabbia o la
tristezza, è dannoso solo se non lo controlliamo. Jay ci pone l’esempio su di sé, ammettendo di essere una
persona che solitamente si arrabbia facilmente, ma tende a sfruttare creativamente questa negatività
canalizzandola in qualcosa di positivo, per cui scrive di ciò che lo fa arrabbiare. La stessa Mia, che all’inizio
non prova paura, man mano capisce che essa è necessaria nella vita, fa parte della vita stessa. Se amiamo
una persona abbiamo paura che scompaia, essere vivi vuol dire aver paura, l’importante è non farsi
sopraffare da essa.
Parlando dei personaggi, apprendiamo che Mia non è stata ispirata da nessuno in particolare (se scrivi di
qualcuno con troppa precisione rischi di rovinare un’amicizia, anche viste le cose terribili che avvengono
nelle storie – risata generale), è piuttosto una combinazione di donne nella vita di Jay, ma c’è anche tanto di
lui. Nel modo della piccola gladiatii di vedersi nel mondo, di pensare, di essere una dura dal cuore tenero,
che dà una grande importanza alla famiglia. Un po’ come Jay, che si descrive come “burbero ma
orsacchiotto”. Insomma, c’è più di Jay in Mia che in ogni altro personaggio.
E sempre parlando di Mia, chiediamo all’autore di rivelarci quale, tra i suoi tre volti - l’assassina, la
gladiatrice, l’oscura – è quello più “giusto” per lei. Ma lui stesso ha difficoltà a risponderci, perchè ritiene
non ci sia un unico volto “giusto”; nel terzo volume la giovane Corvere è la migliore versione di se stessa, in
quanto comprende meglio se stessa e l’amore. Nel primo c’è un’esperienza con Tric, ma non sa se ne è
innamorata, è concentrata sull’obiettivo, senza pensare alle conseguenze. Nel terzo è più equilibrata, ha
visione più ampia della vita. Anche se cresce come personaggio, rimane comunque fedele a se stessa, senza
scendere a compromessi, agisce motivata dalla rabbia e dall’ingiustizia che ha subito.
E dal Corvo, passiamo a Messer Cortese (Mister Kindly), il singolare compagno d’avventure di Mia:
l’ispirazione nasce da Emily the Strange, (che Jay ammette di non aver mai letto, ma che conosce dalle
immagini sulle magliette), e dal suo gatto, che ha così associato a Mia. Nonostante non ami i gatti, lo ha
reso un personaggio fondamentale, un consigliere, che quando la nostra eroina si butta nella mischia senza
pensare alle conseguenze, è colui che cerca di proteggerla e le dice di stare attenta, come una sorta di grillo
parlante.
Approfitto della domanda a mia disposizione per approfondire il tema di questo particolare tipo di
personaggio fatto d’ombra (“un demone, un passeggero o un famiglio – dipende a chi lo chiedete”, come
descritto nella sezione Dramatis Personae, che consente al lettore di non perdersi nei meandri della Città di
Ponti e Ossa), e in particolare chiedo a Jay Kristoff come sarebbe il suo. E con un sorriso, ci parla del suo
cagnolino jack russell, con cui durante le loro passeggiate forma una coppia alquanto buffa. Tra i vari
“passeggeri” del libro, il suo preferito è comunque Messer Cortese: è sensibile, sa consigliare al momento
del bisogno. E, come ci fa notare, è molto utile avere qualcuno che ti dice quando stai facendo una
stupidaggine, piuttosto che seguire Eclissi, che invece è sempre molto entusiasta di tutto.
Tra i personaggi secondari il preferito di Jay è Mercurio, mentore di Mia, in cui confessa di aver messo
molto di sè. Ma non solo: come chi lo ha già letto avrà notato, nel terzo libro le linee si intrecciano,
subentra l’autore e il narratore è consapevole di star narrando la storia.
Quando gli chiediamo se ha mai cambiato idea rispetto alla morte di qualche suo personaggio, Jay risponde
di no, e che ritiene di aver fatto quanto necessario ai fini della narrazione, poichè tutte le morti che
avvengono nei tre volumi hanno una motivazione, per la trama in sè o per la loro importanza per Mia. Per
esempio Cassius, personaggio misterioso che in molti avrebbero voluto non morisse, era un ostacolo, dal
momento che con il procedere della vicenda avrebbe potuto dare a Mia tutte le risposte di cui aveva
bisogno. Non è pentito di questa scelta, anche se capisce che alcuni lettori si siano affezionati ai personaggi.
La domanda successiva riguarda l’ambientazione, elemento molto ricco e suggestivo nella trilogia. Anche in
questo caso, coerentemente con quanto rivelatoci all’inizio dell’intervista, l’autore ammette che si è
trattato di un lavoro di esplorazione, di costruzione strada facendo - all’inizio non c’era una visione
completa, non aveva visitato con la mente l’intera estensione di questo mondo. Di certo, aveva ben chiara
l’idea della struttura politica e religiosa, traendo spunto dalla repubblica romana, dall’inizio dell’Era
Imperiale, con la Dinastia Giulia. Confessa di essere invidioso degli scrittori che hanno già un’idea precisa di
quello che vogliono scrivere, a lui è capitato più volte di sbagliare strada, nel primo libro ha per esempio
cancellato ben 80.000 parole (a fronte delle attuali 170.000), che aveva utilizzato per descrivere il mondo (il
cosiddetto word-building). Non è stato comunque lavoro sprecato, perchè lo ha aiutato ad informarsi per la
creazione di questo mondo, per il quale tra l’altro Jay ci racconta di essersi ispirato alle città di Venezia e di
Roma (in una delle sue recenti storie, i suoi follower hanno potuto accompagnarlo in un tour di Venezia,
indugiando nel dedalo di vie e ponti della città veneta, alla ricerca delle atmosfere e delle ombre di
Godsgrave, nda).
Passiamo poi alle influenze letterarie e non: fra gli scrittori, Jay cita William Gibson, che è anche il primo
autore che ha studiato quando ha iniziato a formarsi come scrittore. Ne ammira lo stile dalle frasi molto
frammentate, e in cui il ritmo di scrittura viene abbinato al tipo di scena - per cui una scena drammatica
avrà una descrizione dettagliata, mentre una scena d’azione conterrà frasi molto brevi, dal ritmo serrato.
Inoltre, Jay mentre scrive ascolta musica, soprattutto quella senza parole, come le colonne sonore
strumentali dei film, in modo da non creare conflitti nella mente. Sceglie brani che evochino le atmosfere e
le situazioni descritte, ad esempio gli piace molto il compositore italiano Ludovico Einaudi. Anche in questo
caso, il tipo di musica cambia a seconda della scena più o meno drammatica. Nelle canzoni delle band che
gli piacciono, le parole evocano idee che possono essere utili durante la scrittura.
La domanda successiva riguarda la caratteristica presenza del narratore, che in Nevernight, parla
direttamente al lettore: Jay ci spiega che gli piaceva l’idea di un personaggio che raccontasse la storia, ma
nel primo libro si rese conto che il narratore era troppo presente. Ha scelto così strada facendo di inserire le
note a piè di pagina, che erano comunque concepite in primo luogo per far ridere, stemperando le
atmosfere più cupe nei momenti di maggior tensione, in secondo luogo per poter costruire il mondo,
emulando le descrizioni di Tolkien, permettendo però allo stesso tempo al lettore di saltare le parti troppo
descrittive se queste non lo interessavano, ed in terzo luogo come elemento che sottolineava la
consapevolezza del libro di essere una storia.
Sempre rispetto all’aspetto stilistico, Jay ci parla del passaggio da Illuminae a Nevernight: sono stati
utilizzati due tipi diversi di scrittura, Illuminae è infatti un libro young adult ed è il risultato di una
collaborazione con Amie Kaufman, dalla visione più positiva. Il risultato è dunque un incontro di due modi
diversi di vedere il mondo. In Nevernight, che invece è rivolto ad adulti, Jay ha potuto essere
completamente se stesso, senza filtri, senza dover temere di oltrepassare determinate soglie. Poteva usare
toni più dark senza preoccuparsi di contenuto, tono, tensioni. Un dodicenne può leggere Illuminae, ma
avrebbe difficoltà con Nevernight.
Parlando invece di traduzioni, Jay ci rivela che per lui è fondamentale potersi fidare ciecamente
dell’editore, anche perchè con il tempo che trascorri a scriverli, consideri i libri come figli. Quando viaggia
per il mondo, chiede a chi ha letto il suo libro sia in inglese che nella versione tradotta se gli è piaciuta la
traduzione, e spesso con altri scrittori si scambiano consigli e pareri sui vari editori, su chi ha il traduttore
migliore. E’ decisamente soddisfatto del lavoro dell’editor italiano, che ha definito “la persona giusta, con la
passione giusta da mettere nel progetto”.
Ma come è nato Jay Kristoff scrittore? Ci racconta di aver iniziato a scrivere a 12 anni, giocando a Dungeons
and Dragons, in cui devi inventare storie e assegnare personaggi agli altri giocatori, che poi li devono
interpretare. Ha poi iniziato a scrivere pubblicità per la tv, mini-storie di 30 secondi, che in pratica sono
romanzi in miniatura. Era un ottimo esercizio per raccontare storie molto velocemente, ma a 35 anni iniziò
a provare insoddisfazione, sentiva di sprecare la sua energia creativa, e gli venne voglia di avere più
controllo sulla propria scrittura.
Gli chiediamo poi quale personaggio sarebbe a suo parere più facile, e quale più difficile, da rappresentare
sullo schermo: Jay pensa che il più complicato sarebbe AIDAN (Illuminae), con i suoi monologhi interni e i
suoi tantissimi pensieri, mentre il più affascinante è Mia, quando manifesta i suoi poteri con le ombre, in
particolare nel terzo volume con il Verobuio. Jay ci accenna di una webseries in proposito, di cui ha visto
delle anteprime, e ne sembra molto soddisfatto (trovate maggiori indizi sul suo profilo social, in cui è già
visibile una mini-clip con Mia e Tric. Consiglio inoltre di tenere d’occhio anche @pieraforde, nda)
Jay è già proiettato nel prossimo progetto, una serie sui vampiri di cui ci dà qualche anticipazione: Empire
of the Vampire uscirà il prossimo anno in parallelo con Usa, sarà un fantasy molto dark basato su eventi
storici realmente accaduti, in cui un’esplosione vulcanica oscurò il sole per diversi mesi, causando guerre e
carestie. In questo scenario i vampiri girano liberamente, e il protagonista Gabriel – nel cui passato vi è un
ordine religioso - è imprigionato dopo aver ucciso l’imperatore dei vampiri, ed è incaricato di raccontare la
sua storia fino a quel momento. Ci saranno inoltre molte illustrazioni.
Una volta rientrato dal tour italiano (già concluso da qualche giorno, nel momento in cui scrivo l’autore si
trova a Praga, nda) Jay si chiuderà nella sua stanza d’albergo a scrivere.
L’ultima domanda prima di salutarci riguarda la Chiesa Rossa. Nel crearla, MisterKristoff ha pensato ad
un’istituzione che insegnasse a diventare assassini, e che fornisse le competenze necessarie per questa
professione in un’epoca simile al Medioevo, come l’arte del combattimento, dell’inganno, dei veleni. Il
tema della scuola e degli insegnanti è in realtà già presente in libri fantasy come Harry Potter. Ma oltre ad
essere una scuola di assassini, la Chiesa Rossa è anche una società segreta, in cui bisogna tutelare chi
insegna.
Ed infine, vi è l’elemento del pericolo in linea con l’atmosfera dark: non tutti possono diventare
Lame, chi fallisce potrebbe morire.
La mattinata si conclude con una lunga fila di firmacopie, in cui ognuno di noi ha inoltre l’occasione per
parlare a tu per tu con l’ospite di oggi, e con una foto di gruppo.
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