Recensione: Biscuit di Kim Sun Mi
Trama
Biscuit è un romanzo delicato e originale, capace di affrontare con profondità temi come l’invisibilità sociale, la fragilità emotiva e il bisogno vitale di essere visti.
Il titolo non rimanda a un semplice dolce da tè, ma diventa metafora potente: i “biscuit” sono persone sottili, fragili, che rischiano di sgretolarsi come biscotti se ignorate o trascurate da chi per loro conta davvero.
Il libro descrive tre fasi, tre livelli in cui i “biscuit” diventano progressivamente meno visibili al mondo esterno, fino quasi a sparire. Non perché non esistano, ma perché chi amano smette di guardarli, ascoltarli, considerarli. Una condizione dolorosa, eppure familiare a chiunque si sia sentito trasparente in una stanza piena di gente.
Eppure, non tutto è perduto. Qualcuno riesce a vedere i “biscuit”: Jaeseong, un liceale dalla sensibilità fuori dal comune, segnato da disturbi come misofonia, iperacusia e fonofobia. La sua quotidianità è un campo minato di suoni che lo feriscono, lo esasperano, lo spingono a reazioni incontrollate ma mai violente. La sua rabbia verso il rumore è una forma di autodifesa, un modo umano – seppur distorto – di proteggersi da un mondo che lo colpisce nei modi più impensabili.
Tra ricoveri periodici e incomprensioni, Jaeseong custodisce un dono raro: riesce a vedere i “biscuit” e a interagire con loro. È attraverso la sua empatia che il romanzo ci mostra una verità essenziale: ciò che rende visibile una persona è l’incontro tra la consapevolezza di sé e lo sguardo dell’altro. In Biscuit, esistere significa essere riconosciuti, non solo in senso sociale ma emotivo e profondo.
Il libro si muove con naturalezza tra realismo e allegoria, tra introspezione psicologica e riflessione sociale. È un romanzo che parla a un pubblico ampio: a chi ha conosciuto sulla propria pelle l’esclusione, ma anche a chi cerca nei legami umani una possibilità di redenzione.
Barbara








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